#intervistesporche 4. Pierluca D’Antuono: di bolla, riviste letterarie e arrivismi

La quarta intervista di #intervistesporche me l’ha concessa Pierluca D’Antuono.

Pierluca D’Antuono è tra i più importanti animatori delle riviste letterarie online, fondatore e co-direttore di Verde Rivista la cui storia, finché la memoria breve del web resiste, conosciamo. Io la definirei una rivista-troll-golem che ha prodotto molta letteratura e arte situazionista in rete.

È anche uno scrittore-fantasma, ma nella realtà questo forse non lo sapremo mai.

È soprattutto una persona “carismatica”, e io, in un contesto artistico, il carisma lo esigo.

Ho desiderato e finalmente realizzato questo dialogo fuori sincrono, perché so che Pierluca D’Antuono non si fa problemi a dire quello che pensa su tematiche che mi interessano, e allora qui potete capire molte cose del contesto letterario in rete negli ultimi anni (da facebook a whattsapp), delle riviste letterarie, delle cattive prariche e della totale assenza di “verifica dei poteri” in rete e nei prolungamenti della rete, tale da permettere di dire e fare cose che boh senza che nessuno dica a.

Il format di #intervistesporche prende il nome dalla mia passione per il punk e dalla mia volontà di interagire con alcune persone senza troppi filtri, in modo critico e politicamente scorretto. In questi anni in cui si vorrebbe ripulire tutto, dal linguaggio ai luoghi in cui viviamo (non odierò mai troppo il concetto di decoro urbano), è vivificante lasciare delle orme, dei segni, dis-ordinare, “sporcare” se necessario.

1. Una volta pensavo (o speravo) che la rivista letteraria dei tempi del web potesse essere un libero laboratorio di scrittura e di discorso intorno alla letteratura.

Oggi penso di aver sperato per anni in un’utopia solo per eccezione realizzata con “CrapulaClub” (che ho co-diretto negli anni 2014-19). Una utopia mai più – per quanto lo desiderassi – replicata in altri tentativi (le esperienze di co-direzione de “Il Pickwick” prima, e di “In allarmata radura” dopo), laddove arrivismo o individualismo si sono rivelate “costanti”.

In generale, ne ho concluso, la rivista oggi non è un fine (cioè non è fine a sé stessa e quindi libera) bensì un mezzo: l’obiettivo di questi progetti è avere accesso a quel mondo con cui, al contrario, si dovrebbe invece cortocircuitare (ma questa magari è solo una mia idea ingenua): l’editoria (e qui aggiungo, en passant, l’opposizione che dovrebbe vigere tra la gratuità delle riviste online e le necessità di mercato dell’editoria).

Espresse le mie idee, ti chiedo, Pierluca, di “mostrarmi” la tua idea di rivista letteraria e di dirmi che ne pensi del panorama attuale delle riviste.

Negli anni, rispondendo alle domande su Verde, ho potuto ricostruire che nel 2007, in uno spazio che si estendeva dall’aula 10 della facoltà di Lettere e Filosofia della terza università all’aula VI autogestita della Sapienza, dal cinema Madison di Via Chiabrera a Via degli Equi 6 a San Lorenzo, da Piazza De André – nonostante l’odonimo – alla Magliana alle Terme di Diocleziano e lungo i banchi di libri a Piazza della Repubblica, dal Ser.T di Torpignattara a quello di Via Fornovo a Prati e talvolta a Via Ramazzini, dalla stazione Termini a un piccolo nucleo di profili Myspace architettati in un Html condiviso e sbalorditivamente conciliante la lettura, in compagnia di telefonisti inbound ossessionati da Porpora Marciasciano e poete EAP scomparse in Abruzzo, grafomani campani ultratrentenni e infermieri antisemiti, eroinomani ottimisti e di sinistra e fotografe punk dell’Onda, tatuatrici brindisine senza storia e portieri d’albergo sardi dal passato francamente inquietante, grafiche femministe iscritte allo IED e gemelle lucane abbonate a Left, videoartisti spagnoli legati a Batasuna e stalker senegalesi sinceramente antiberlusconiani, leggendo Alda Teodorani e i Millelire di Stampa Alternativa, Nanni Balestrini e Carlo Bordini, Tassinari Stefano e Tassinari Ugo Maria, Philip Dick in francese e sudamericani minori di cui non ricordo il nome, i franchi narratori Feltrinelli e Il suicidio in Italia negli ultimi 30 anni di Rosa Anna Somogyi, S.H. Palmer e Ottavia Spisni, un romanzo di Dana Spiotta e Ilaria Palomba già allora, i primi tre capitoli in samizdat di Giungla Domestica, che a Torpignattara godeva di un autentico e a ripensarci oggi inverosimile stato di culto, rinunciando serenamente a Genna e scoprendo Stefano Tamburini, non credevo di sperare un’utopia ma di vivere una città.

La bellezza delle pagine di Frigidaire era la possibilità di lasciarsi fulminare dalla “presenza fantasmatica di un evento colossale”, il segno di quel tempo che sembrava identico a quello che vivevo io trent’anni dopo, perché il fine era riconoscere, ricostruire, condividere e restituire la narrazione del corpo a corpo con la città come spazio reale e vissuto di elaborazione letteraria, al di là delle ragioni anagrafiche, storiche o dei luoghi stessi.

Così è iniziato e questo è stato per me allora fare rivista, un luogo popolato e spettrale dentro a un luogo desolato ma vivido, non un fine ma un mezzo desiderante legato al tempo che non ha niente a che vedere con l’editoria. L’editoria è una montagna di merda, ma è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine.

Delle riviste, so che nascevano vive e a poco a poco morivano.

Delle riviste di oggi non so nulla, se non che – ma soltanto nella bolla a cui fai riferimento, per i motivi che hai espresso e con cui concordo, fondate da chi addice o vorrà addire ai lavori per paradossali motivi di posizionamento ma simbolico e di autopromozione, inevitabilmente arrese alle call, una chiamata indistinta senza voce alla prestazione di lavoro editoriale gratuito, non riconosciuto ma potenziale, territoriale, ostentato, peraltro subappaltato e subappaltabile, alla pubblicazione degli estratti “per gentile concessione dell’editore”, alla segnalazione delle nuove uscite per supina concessione all’editore – hanno preso a nascere morte.

2. Ho sempre avuto un rapporto diciamo da “ammiratore dissidente” di Verde Rivista.

Come sai ne ho sempre criticato il troppo peso della struttura (il “brand” Verde), tale da schiacciare spesso gli autori di racconti e cioè i detentori dell’oggetto letterario.

Tuttavia, oltre ad aver letto, in Verde, testi eccellenti, ho potuto liberamente esercitare un rapporto dialettico di incontro-scontro, e questo non posso darlo per scontato visto che mi capita sempre più spesso di essere censurato da individui della cosiddetta “bolla letteraria di facebook” (ciò a prescindere dal fatto che ammetto di esprimermi per eccessi discutibili).

In che stato di salute è, oggi, Verde Rivista? Che rapporto ha con il mondo delle lettere?

Credo, al contrario di te, che la creazione di un collettivo forte e solido abbia permesso ai detentori e alle purtroppo sporadiche detentrici dell’oggetto letterario l’elaborazione di un discorso condiviso intorno alla letteratura e alla scrittura altrimenti impossibile, che ha permesso la costruzione di percorsi che non avrebbero avuto la stessa potenza e qualità. Ne sono convinto, perché è ciò che accade in qualsiasi gruppo o comunità, non è un merito ascrivibile particolarmente a Verde, a patto di creare la struttura pesante che è uno spazio ampio di confronto e scoperta dove leggere e scrivere si equivalgono, ma soprattutto un luogo di conflittualità in cui esercitare lo sguardo. Non abbiamo mai creduto che le riviste fossero i racconti che pubblicano, ma i simboli e i linguaggi che creano e il tempo in cui stanno.

D’altronde le personalità, quando sono emerse, sono state subito più forti del gruppo, il caso di Felici è emblematico, o più credibili, vedi Mosca, che non ha mai scontato la cattiva reputazione di Verde. E anche quello che tu sostieni mi persuade che la pluralità nulla ha mai dovuto all’unità del marchio: c’è chi di noi si è incontrato, confrontato, scontrato, scornato con te sempre autonomamente e senza vincoli di appartenenza o ripercussioni interne.

Ogni fase della storia della rivista ha dovuto misurarsi con questa centrifuga che ha complicato e confuso le cose, ma le ha rese anche più divertenti. Se per mondo delle lettere intendi autrici e autori, conoscerli è stato quasi sempre peggio di leggerli, ma leggermente meglio di frequentare i loro editori.

Oggi Verde è morta, è stata Pazzesca. La storia di Verde è la storia di una rivista nata viva e vissuta morendo continuamente, ma è una storia esaurita e superata da presenze infestate, perché relazioni che non meritavano interlocuzione hanno ricevuto attenzioni strategiche, e i legami non hanno retto all’esaurimento dell’impegno di assumersi in solido la responsabilità della creazione e della condivisione delle pratiche e dello spazio di elaborazione.

3. In quali luoghi e in quali spazi è possibile fare “avanguardia” e discutere di scrittura e libri senza essere inglobati e normalizzati/neutralizzati dalla rete editori-fiere-librerie-premiletterari ecc.?

Mentre Verde o Crapula cercavano di esplorare lo spazio della rivista, i luoghi occupati sono stati reinventati, le narrazioni sono cambiate e le funzioni sono state dismesse. Occorre cercare altrove fuori dalle bolle nuovi spazi liminali di inurbanità all’interno e all’esterno dei quali è possibile continuare a fare rivista anche sulla rivista, a patto di rivolgere il proprio sguardo a sé e a questo tempo.

4. Chi sono gli autori italiani viventi che preferisci?

Federica Sabelli, Ilaria Palomba e Valentina Maini.
Alessio Mosca e Alfredo Zucchi.
Stefano Felici invece mi sta sul cazzo, ci tengo a dirlo.
Tutte amiche e amici miei, ovviamente, tranne Felici.

5. Esiste la figura mitica dell’intellettuale? Oppure è estinta?

Esiste ancora, e quella figura sei tu, Antonio.

6. Dimmi una parola che per te rappresenta il male della letteratura (io quoto “amichettismo”) e una che per te ne rappresenta il bene (io quoto “dignità”).

Poi: quale ritieni sia l’insulto peggiore che può essere rivolto a chi vuole gravitare tra i libri?

Un’accezione peggiorativa dell’amichettismo, che chiameremo a-nemichettismo, è la massima manifestazione della pavidità che si esprime attraverso la pretesa insofferenza verso ogni polemica, rinunciando alle possibilità di conflitto per convenienza utilitaristica; non più tutti amici ma nessun nemico, perché chiunque può tornare utile prima o poi e non conviene mai prendere posizione contro o a favore di qualcuno, salvo con ferocia in privato.

Questo è il male, ma non sono sicuro che attenga alla letteratura, così come non saprei definire il bene se non come eventuale connotazione della letteratura stessa. L’insulto peggiore però lo conosco, ed è “addetto ai lavori”.

7. Ritieni debba esserci un rapporto tra letteratura e politica? Tra letteratura e impegno? Se sì, come lo immagini?

La letteratura è politica se è presente al suo tempo, è impegnata quando non teme di prendere posizioni.

8. Ti ricordi com’erano qualche anno fa gli scrittori e gli addetti ai lavori che oggi hanno tra i trenta e i quarant’anni e che all’epoca iniziavano il loro percorso “editoriale”? Intendo quando eravamo giovani, e parlavamo di merito, e detestavamo certe pratiche delle generazioni dei vecchi, e non ci piacevano le markette, e non capivamo come potessero essere pubblicati certi libri.

Come li/ci vedi, oggi? Sei deluso o sei soddisfatto?

I pochi quarantenni editoriali che conosco non sono molto diversi dai trentenni che erano qualche anno fa, ho distrattamente osservato come tutti alcune traiettorie tragiche negli ultimi due o tre anni ma la verità è che non ho mai stretto rapporti significativi con i cosiddetti addetti ai lavori. Ho sempre avuto un lavoro fuori dall’editoria, sono felice che Verde non sia mai stato per me un lavoro, non ho mai avuto l’esigenza di posizionarmi e vorrei avere la certezza di non aver mai parlato di merito, un concetto fumoso che spesso cela il riconoscimento di un privilegio che genera e nega conflitto.

9. Esistono, secondo te, in questo micro-luogo di riferimento (la “bolla”), fenomeni come il maschilismo, la misoginia, il cyberbullismo, ecc.? Oppure, in virtù del “politicamente corretto” e delle lotte per i diritti di gruppi e persone, noti che il contesto è in progressivo miglioramento?

La connotazione del microluogo di riferimento che dici è identica all’editoria di cui sopra; i maschi soccombono pateticamente in una autonarrazione narcisistica che non è un’onda ma una postura traumatica non elaborata; il bambino umiliato è diventato un adulto coglione e aggressivo lacerato tra il desiderio di rivalsa e di redenzione; la pubblicazione è il modo in cui cerca il perdono e l’approvazione del femminile vissuto unicamente come materno; il libro è l’incesto che ripara.

Sono odiatori che per 18 ore a settimana occupano abusivamente le cattedre nelle scuole e diventano all’improvviso “educatori sentinelle delle nuove fragilità”, figli e nipoti modello che tengono il cuore spezzato, orgogliosissimi e feroci papà copycat di Matteo Bussola e del filone dei mammi che si scambiano in privato foto rubate su Instagram, plagiatori pazzi che recensiscono colleghe dimentiche, foraggiati da editori macellai ostaggio della distribuzione e alle soglie dei quarant’anni altrimenti senza lavoro: in una parola, il vivamammismo, un fenomeno preoccupante che si sta estendendo anche agli addetti ai lavori. Unico antidoto, seguire le donne della bolla non educate da maschi: donne che anche nella bolla, nonostante tutto, imperversano positivamente.

Fuori dalla bolla invece il contesto è in progressivo miglioramento. Cosa che mi porta a chiederti: Antò, ma tu in questa bolla che ci stai a fare?

10. Hai ancora voglia di fare rivista, di scrivere, di dialogare?

Sogno una rivista capace di raccontare i glitch di questo tempo in maniera non ideologica ma perturbante. Sarebbe Pazzesca.

Antonio Russo De Vivo © 2024

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