#intervistesporche 3. Antonella Cilento: le origini delle “scuole di scrittura creativa” in Italia

La terza intervista di #intervistesporche me l’ha concessa Antonella Cilento.

Antonella Cilento è scrittrice (Giunti, Guanda, Laterza, Mondadori, ecc…) e insegnante di scrittura creativa. È stata una delle prime a aprire una scuola altamente professionalizzata: Lalineascritta, nel 1993.

Parlare con lei è una occasione preziosa per affrontare la storia delle Scuole di Scrittura in Italia, e per approfittare di uno sguardo esperto e concreto sul panorama attuale di questo settore in espansione. Il tema già l’ho affrontato nell’intervista a Alfio Squillaci (potete leggerla qui).

Il format di intervistesporche prende il nome dalla mia passione per il punk e dalla mia volontà di interagire con alcune persone senza troppi filtri, in modo critico e politicamente scorretto. In questi anni in cui si vorrebbe ripulire tutto, dal linguaggio ai luoghi in cui viviamo (non odierò mai troppo il concetto di decoro urbano), è vivificante lasciare delle orme, dei segni, dis-ordinare, “sporcare” se necessario.

La seconda intervista potete leggerla qui.

1. Vorrei iniziare l’intervista chiedendoti una definizione di “insegnamento di scrittura creativa”. Cosa significa in generale? Cosa significa per te?

La definizione, o meglio la traduzione, “scrittura creativa”, che è tratta in modo approssimativo da creative writing in Italia (dove creativo, a seconda dei decenni, è un insulto se riferito all’arte e un complimento con fatturazione se riferito al mondo della moda o del design) crea una serie di fraintendimenti. Inventare scrivendo, scrivere inventando, forse sarebbe più corretto come traduzione ma certo meno attraente. La scrittura si è sempre insegnata, dopo la prima alfabetizzazione: retorica e oratoria, gli strumenti della poesia o della prosa, le tecniche della scrittura drammaturgica, sono tutti strumenti insegnati in Cina come in Grecia, in Giappone come nell’antica Roma. Dunque, tutte le regole che vanno dalle articolazioni micro e macro della scrittura possono essere trasmesse, suggerite, esemplificate, allenate.

Per quanto mi riguarda, in questi trentuno anni di lavoro ho cercato, e cerco, di sbloccare le cattive abitudini legate alla scrittura scolastica, aggirare e sciogliere i blocchi dell’espressione costruiti su fattori emotivi, mettere in movimento un allenamento costante e poi avviare l’apprendimento e la verifica di tutti gli strumenti tecnici che servono a scrivere una storia, prima, la cosa più semplice, e a trovare una voce e uno stile, poi, la cosa più difficile. E questo vale per ciascuno dei miei molti allievi, che arrivano ai corsi con esigenze assai diverse: leggere di più o leggere meglio, conoscersi, conoscere altre persone che leggono e scrivono, pubblicare un romanzo, capire se la scrittura è davvero la loro strada e in che direzione, entrare nel mondo dell’editoria, lasciare traccia di sé ai nipoti, insegnare meglio a scuola, ecc…

2. La tua scuola di scrittura, Lalineascritta, è attiva dal 1993 (oltre trent’anni!). Qual era il contesto delle scuole di scritture all’epoca?

Quando ho iniziato era attiva Omero a Roma, da poco: infatti li andai a trovare e seguii anche qualche lezione; e c’era stato lo straordinario magistero di Giuseppe Pontiggia a Milano dal 1985. Di fatto, io scoprii l’insegnamento della scrittura perché una conoscente, che a sua volta scriveva, era stata in Francia a seguire degli atelier di scrittura, dove l’esperienza era già molto sviluppata, e ci fece provare alcune tecniche che ancora uso. Nel 1993 a Napoli e nel sud non c’era nulla che somigliasse a una scuola, o laboratorio, di scrittura, anche se Domenico Rea aveva tenuto qualche lezione, prima di morire. Ho cominciato per cercare di raccogliere le persone che scrivevano in città attorno a un tavolo, per aiutare altri, come aiutavo me stessa, a superare gli ostacoli che da soli ci poniamo. Ho imparato insegnando (si impara sempre insegnando, se lo si fa con vera passione). Quell’anno, nel 1993, iniziò a Padova anche l’esperienza di Giulio Mozzi – e infatti, più o meno da allora, forse qualche anno dopo, ci conosciamo. Era una situazione molto sperimentale: per me era il modo di mettere insieme tante diverse competenze, dalla semiologia allo sciamanesimo, dall’italianistica all’iconografia, dalla psicologia transpersonale alla gestione di gruppi e cerchi, dal teatro alle arti visive, alla meditazione. Tutti strumenti che, insieme alla scrittura coltivata sin da bambina, erano entrati a far parte del mio sistema di lavoro e di pratica quotidiana. In pochi anni le esperienze di insegnamento si moltiplicarono ma la differenza, come sempre, la fanno metodo e durata.

Quando Lalineascritta è diventata Lalineascritta, prima prendeva nome dai luoghi che ospitavano gli incontri, e trent’anni di metodo sono confluiti ne La caffettiera di carta; molti giochi ormai erano fatti ma la sperimentazione, come ogni vera ricerca, è ancora in corso. Ho sempre insegnato e scritto per cercare e trasformare.

3. Oggi assistiamo a una ipertrofia nel tuo settore: scuole e insegnanti di scrittura continuano a moltiplicarsi, anche in virtù delle possibilità tecnologiche potenziate nel periodo pandemico (l’insegnamento a distanza tramite pochi strumenti e poco costosi).
Partendo dal fatto che le scuole storiche, cioè quelle riconosciute da anni, non patiscono una tale concorrenza virale, puoi dirmi che ne pensi a riguardo? Chiaramente mi aspetto un parere critico e negativo, perché a me pare che tutto questo serva molto (economicamente) a chi questi corsi li organizza e poco (in termini di empowerment) a chi li frequenta.

Riguardo i corsi a distanza, posso solo dire che, quando molti anni fa iniziammo a fare corsi in web conference interattiva (merito di Marco Alfano, ottimo musicista, oggi leader dei Ferranicolor, che da allievo era diventato, ed è, collaboratore de Lalineascritta e che aveva assistito alla nascita dei webinar negli Stati Uniti) su una piattaforma molto meno comoda delle attuali, eravamo i soli in Italia. Ho fatto per oltre un decennio corsi in web conferenze notturni, dalle 21 alle 23, con persone che si collegavano dalla Sicilia, dalla Svizzera e dal Giappone o dall’Italia per ragioni di lavoro o personali, e quando è scoppiata la pandemia eravamo fin troppo pronti: ci è toccato travasare tutto, corsi e master in quel formato. Lavorare a distanza non è l’optimum, perché le persone si isolano e a chi conduce tocca impiegare il triplo dell’energia per tenere tutti all’erta come in un cerchio di un’aula fisica. Ma si piange e si ride e accadono cose potenti anche in quel modo, se si sa lavorare bene, se ci si mette in gioco davvero.

Che questi strumenti abbiano fatto ulteriormente proliferare scuole e scuolette di pessimo livello sono d’accordo. Sono, come te, molto sospettosa sui corsi che si moltiplicano senza guide autorevoli: troppe persone non hanno alcuna passione con cui contagiare chi si iscrive, altri pensano che così arrotonderanno, che fingere di insegnare serve loro per farsi conoscere.

Insegnare la scrittura, come scrivere, è però un lavoro umile, parecchio faticoso, che richiede dedizione assoluta. Una forma di monachesimo.

La maggior parte di corsi e corsetti che fioriscono da decenni e che ora, grazie al web, si decuplicano non solo sono destinati a morire ma, peggio, fanno disamorare le persone. Arrivano da noi a mucchi, a volte anche da altre grandi scuole, delusi e confusi. Non puoi impedire all’insegnante della domenica di improvvisarsi ma, come per ogni arte, servono condizioni specifiche perché avvenga un vero passaggio di testimone, si verifichino le condizioni per far fiorire e maturare le persone.

4. La tua è l’unica Scuola di scrittura di cui dico bene senza riserve, perché trovo giusto l’insegnamento a livelli, e molto utili le esperienze pratiche che organizzate (interazioni sui testi con professionisti esterni di gran livello – ad esempio Franchini e Montesano –; esplorazione degli archivi; ecc.). Come sei giunta a questo format? Quali sono state le esperienze a te più utili per capire cosa può aiutare chi si iscrive ai corsi?

Ti ringrazio molto per quest’apprezzamento, che ricambio in assoluta sincerità: la lista di riviste su web da osservare che hai stilato la condividiamo spesso con i nostri allievi dichiarando la fonte, cioè il tuo accurato lavoro. Insegnando tutto l’anno (salvo d’agosto!) e tutti i giorni, da tanto tempo, finisco con il seguire le persone lungo l’intero arco della loro vita. Arrivano da me che sono ragazzini, se ne vanno sposati, dottori di ricerca. Oppure li vedo genitori e poi pensionati. Ho assistito a molti matrimoni e, ormai, purtroppo, anche a diversi funerali. Sin dall’inizio, quindi, l’esigenza è stata di far passare da un livello a un altro le persone, per farle crescere davvero, per seguire la loro evoluzione. Si tratta di un percorso didattico ma anche psicologico, di empowerment come giustamente dici, dunque non basta distribuire argomenti come in un insegnamento accademico ma occorre seguire gradualmente le persone nella loro esistenza creativa: c’è un tempo soggettivo per assorbire alcuni elementi tecnici, per far passare una comprensione retorica a un uso pratico, per rendersi davvero conto di come si sta usando l’esperienza autobiografica nella trasfigurazione finzionale, per diventare lettori fini e completi, per essere consapevoli di ogni gesto che si compie, per capire a quale tradizione si appartiene. Oltre ad un lavoro costante e personalizzato, all’interazione e allo scambio nei gruppi, la presenza e il contributo di scrittori di alto profilo e editoriali di vastissima esperienza è diventata presto indispensabile. Molti dei nostri ospiti sono amici de Lalineascritta (Antonio Franchini e Giuseppe Montesano come Manuela La Ferla, Laura Bosio, Giulia Ichino, Alberto Rollo, Bruno Nacci e altri ancora) nel senso che vedono crescere da un anno all’altro alcuni dei partecipanti. Le lezioni di Giuseppe Montesano sono nate, proprio come il progetto Strane Coppie, per far rientrare i classici e i classici contemporanei, e il senso profondo della letteratura e dell’interazione con le altre arti, nelle abitudini di lettura e scrittura dei nostri allievi. Poi ci sono percorsi brevi, stage o workshop, che esplorano tematiche grazie a luoghi o documenti, così che i generi del romanzo o alcune tematiche divengano un focus accompagnato da visite, viaggi, esperienze residenziali che mescolano la vacanza con la scrittura intensiva, rendendo gli esercizi più frequenti e continuativi magari in un week end.

Su cosa osservo in ogni allievo conta l’esperienza: ormai so, prima ancora che il malcapitato o la malcapitata aprano bocca, quali inciampi, quali blocchi e quali strategie utilizzare. È il (solo) vantaggio della vecchiaia. Dall’atteggiamento e dalle libere scritture si afferrano molto presto temi, ossessioni, direzioni, potenzialità delle persone.

5. Oltre a essere editor, faccio scouting e tutoring, cioè individuo autori non ancora esordienti e li accompagno in un percorso di crescita. Faccio spesso da “antimaestro”, per usare una categoria pedagogica che mi piace molto. Il mio mentore qualche giorno fa mi ha detto: “ma mica ti aspetti di essere ringraziato per quello che fai?”.
Ecco, qui voglio affrontare il lato umano del rapporto maestro/allievo così carico di emotività: in trent’anni hai scoperto e lanciato molti autori; al di là della soddisfazione professionale, ti è capitato di essere stata delusa dai comportamenti? Agli allievi di scrittura fa più comodo ricordare o cancellare i propri maestri? Qual è il modo giusto di concludere un rapporto così particolare? È giusto “ammazzare” il maestro?

Sono spesso rimasta molto delusa da alcuni allievi, a volte proprio da quelli che sembravano più talentuosi. Occorre considerare che la riconoscenza è un sentimento imbarazzante, che essere riconoscenti sembra, ad alcuni, corrispondere a una sottrazione delle proprie capacità. Segnalare in curriculum o in bandella di aver seguito una scuola diventa una colpa, invece che parte di una prestigiosa formazione. In altre parole, il desiderio di essere riconosciute/i entra in conflitto con l’essere riconoscenti verso chi ci guida, ci insegna, ci coinvolge. Significa, però, che abbiamo spesso da imparare, da essere aperti. Io a cinquantatré anni sono ancora una discepola della letteratura e quando viene a lezione Giuseppe Montesano studio.

Del resto narcisismo, competizione, invidia sono parti anche naturali delle personalità artistiche: però, chi riesce e dura quasi sempre ha qualità umane superiori a chi sgomita per emergere e finge d’essere nato imparato, come si dice in lingua madre. Scrivere è un atto rischioso e generoso. Insegnare o condurre o assistere è un gesto generoso, da cui non ci si aspetta di regola restituzioni. Poi le restituzioni arrivano comunque spontanee e abbondanti e compensano di gran lunga le delusioni umane. Direi che in letteratura i maestri devono essere uccisi sulla pagina, superandoli, consumandoli, aggirandoli: chi ha bisogno di cancellare fisicamente un percorso di studio, di apparire nato ex novo senza apprendimenti e senza gavetta ha problemi di centratura personale, è insicuro, è incompetente. Sto leggendo in questi giorni Paul Willems (Safarà ha tradotto un gioiello, La cattedrale di nebbia) e trovo geniale quando scrive: “Sarebbe tremendo e fantastico se il poeta, sbagliando un libro, cadesse su una fune d’acciaio. Sapremmo cosa aspettarci. Ma ben presto questo metodo si rivelerebbe inefficace. I cattivi poeti lavorerebbero con una rete di protezione e cadrebbero mollemente facendo tante belle piroette”.

6. Passiamo alla semantica: quale parola, nel campo della scrittura creativa, non vorresti mai sentire? E perché?

Forse è una frase: “non ho tempo”. La ripetono tutti i miei allievi e anche qualche presunto collega. Se non hai tempo per la tua arte non potrai mai essere un’artista. Noi siamo il nostro tempo. Ma “non ho tempo” oppure “ma è difficile” sono le frasi più frequenti che mi sento ripetere in laboratorio quando chi viene con allegra incoscienza si accorge che il gioco è serio.

7. Ho assistito al primo giorno, in un evento al Vomero, di una tua collaboratrice che io stimo tantissimo come editor e comunicatrice: Stefania Cantelmo. Era il 2016 mi pare.
Qual è il tuo concetto di “team”? Come scegli le persone con cui collaborare? Quali credi siano le skills che deve avere chi lavora in questo campo?

Stefania è fantastica! Seria, puntigliosa, precisa, dolce, accogliente. Non conosco molte persone nel nostro ambiente di questa qualità umana e lavorativa. Sono onorata e fiera di averla accanto. È stata la roccia su cui si è sostenuto Tullio Pironti Editore per oltre un decennio e per noi è una grande fortuna averla fra le collaboratrici più impegnate. Chi collabora con Lalineascritta spesso ne è stato allievo e quindi conosce il metodo e lo stile di formazione: questo vale per chi ha fondato con me l’associazione, Iole Cilento, che si occupa per noi delle arti visive ed è anche mia sorella, Paolo Oliveri del Castillo, che si occupa per noi dell’amministrazione e del teatro ed è anche il mio compagno, Rosaria Maglio, la parte meditativa e corporea della nostra attività, con cui abbiamo condiviso formazioni lunghissime e stili di insegnamento ed è una amica carissima. E vale per chi è arrivato e si è aggiunto man mano. Marco Alfano, che è il nostro webmaster e conduce i corsi di ludoscrittura, è stato un allievo in tempi ormai remoti; Domenico Esposito, che è la colonna organizzativa de Lalineascritta per la logistica e la segreteria e ora conduce corsi di grammatica, è stato un allievo molto capace e ora ha un bellissimo romanzo finito. Una redattrice molto brava come Valentina Giannuzzi è stata anche lei un’allieva. Stefania Bruno, che segue per noi l’area della drammaturgia è stata allieva quando era giovanissima (lo eravamo entrambe, bei tempi!). Stefania Cantelmo e Giuseppe D’Antonio, che reggono le sorti della nostra area editoriale, sono arrivati da altre formazioni e prestigiose esperienze lavorative, eppure non hanno esitato a seguire una parte di formazione alla scrittura mentre già lavoravano per noi, proprio per allinearsi al mood generale de Lalineascritta.

Vengo dai gruppi, vengo dalle squadre e dal lavoro di squadra. A pallavolo facevo l’alzatrice: non mi interessa chi schiaccia, mi interessa che tutti lavorino insieme come un sol corpo per il risultato. E questo è uno staff bellissimo, lasciamelo dire, cui si stanno per aggiungere nuove “speranze”. Così posso già pensare a chi erediterà la scuola, a chi verrà dopo di me evitando che una delle rarissime attività virtuose a Napoli muoia con me.

8. Ricordi allievi che ti hanno sorpreso in positivo, che non ti aspettavi facessero tanto nel percorso di scrittura? Ricordi allievi, al contrario, su cui hai puntato molto e che invece ti hanno deluso? Perché un allievo finisce per non rispondere a certe aspettative?

Alcune e alcuni sai già che hanno grandissimo potenziale. Lo vedi subito. Il problema è se il talento naturale farà da inciampo o da leva. Essere già molto capaci può far lavorare meno e male le persone. Può renderle vanitose o superficiali. Chi ha molta disciplina invece fa enormi salti in avanti pur avendo magari meno talento di altri. Lo scrive benissimo Antonio Franchini in Quando vi ucciderete maestro: usando la metafora delle arti marziali ragiona appunto su come chi, pur molto dotato dalla natura, predisposto, “portato”, come dicevano a noi a scuola, fa meno o fallisce a confronto con chi, dovendo superare handicap di ogni genere, insiste, lavora, si allena.

Allieve molto giovani e precocemente riconosciute sono incappate in fretta o pigrizia, in timidezza o arroganza: tornano all’ovile con in tasca nefaste previsioni che io avevo loro manifestato. Ma niente è perduto. Allievi che partono in deficit culturale, senza buona scuole, senza le basi di lettura, ma credono molto in quello che fanno, invece lavorano tanto e hanno risultati sorprendenti. C’è chi parte senza speranze e invece ce la fa. E chi è troppo sicuro e inciampa. Il punto è quanto le persone conoscono se stesse, se riescono a tenere la via. Ho avuto per allieve e allievi persone che hanno esordito con grandi editori ma hanno perso la strada, e spero prima o poi la ritrovino. Del resto, io stessa l’ho persa mille volte. La presunzione, la sordità fanno però di certo scudo a ogni riuscita: alla fine chi si accontenta e magari esce anche con editori a pagamento non ha capito nulla, non tanto dell’editoria, ma proprio della vita.

9. Quali sono gli errori più comuni che deve evitare un aspirante scrittore?

Pubblicare a pagamento, credersi arrivato, non studiare, non leggere, non lavorare, avere fretta. E questo su un piano generale. Poi ci sono errori tecnici, errori che riguardano la scrittura, gli strumenti che usa, i fini e gli obiettivi come scriveva Giuseppe Pontiggia. Contano i mezzi, è vero, ma contano anche i fini. Se hai un fine sbagliato, se scrivi per essere o apparire scrittore e non per scrivere bene davvero, e qui lo diceva Flannery O’ Connor, hai fallito. C’è così tanto da imparare, c’è così tanto da sbagliare. A qualunque cosa aspiri, testa bassa: leggi, scrivi, studia.

10. Qual è il tuo rapporto professionale con i social media? Mi pare la tua scuola non ne faccia abuso come invece fanno altri, mi pare che voi ne facciate un uso “discreto”, non invasivo, laddove il contesto ci comunica quotidianamente che i social sono necessari al business e che a essi vanno dedicati molto tempo e molte risorse.

Si occupa dei nostri social da qualche anno Domenico Esposito, del sito Marco Alfano, di alcune immagini per il web Iole Cilento e di alcuni formati sempre Marco. Occorre per necessità commerciali essere sui social, è una parte della promozione che trent’anni fa ovviamente non c’era: si passavano le giornate a portare depliant, a distribuire volantini, a chiedere ai giornali un piccolo spazio. Senza rompere troppo le scatole alle persone, anche perché abbiamo corsi in partenza ogni tre mesi, incontri mensili, corsi annuali o biennali, eventi settimanali, dunque formati molto diversi da promuovere, la nostra presenza è costante. Quel che conta è rispondere sempre a tutte e a tutti con gentilezza e pazienza. Siamo un servizio e insieme una bottega d’artigianato e d’arte. Per me come autrice faccio lo stretto indispensabile…

11. Fin qui ho omesso la tua posizione di scrittrice di successo. Ora devo chiedertelo: essere scrittrice non cortocircuita col ruolo di insegnante di scrittura? Ti sono mai venuti dubbi sulla coesistenza di questo doppio ruolo?

Non penso proprio di essere una scrittrice di successo: sui miei diciassette o diciotto libri editi la maggior parte sono fuori commercio, introvabili, bisogna ricorrere ai remainder. Il mio libro più venduto, Lisario o il piacere infinito delle donne, pur con Mondadori e con la finale del Premio Strega ha venduto quindicimila copie e ora, chiusi i diritti, riesce da Bompiani, proprio nel 2024. Gli altri libri hanno venduto forse duemila, forse quattromila, a volte poche centinaia di copie. Mai stata in classifica. Mai stata negli elenchi degli autori da considerare in nessuno dei decenni in cui ho pubblicato. Al massimo sono un’autrice di quelle che si dicono “di qualità”, anzi di solito si dice di me che faccio parte di quelle/i che “non hanno avuto abbastanza”. Autrice sfortunata, dunque: ci sono autori sfortunati in ogni paese e in ogni secolo, una categoria a parte. Adesso che escono, oltre la ristampa di Lisario, due libri nuovi, uno ad aprile per Bottega Editoriale Errante, Il sole non bagna Napoli, e il nuovo romanzo per Bompiani in autunno, rientro semplicemente fra le recidive…

Però, per venire alla tua domanda, il problema non si è mai posto: io scrivo da quando avevo sei anni e insegno scrittura da quando ne avevo ventitré. Ho pubblicato il mio primo libro a trent’anni e sono stata segnalata dal Premio Calvino a ventotto. Insegnare a scrivere e scrivere sono state, quindi, due attività parallele e continue, si sono alimentate a vicenda. Il laboratorio è cresciuto come i libri che scrivevo. Mi pare, poi, che insegnare a scrivere senza aver fatto una vera pratica di apprendimento su di sé sia pura presunzione. Chi scrive insegna a scrivere, chi dipinge insegna a dipingere, chi suona o compone insegna, ecc… A patto ovviamente di saper trasmettere l’arte che si pratica. A volte ci sono grandissimi artisti incapaci nella trasmissione. Io so che a trasmettere sono molto più brava che a scrivere, per esempio. Ormai, vorrei avere tempo di scrivere e basta ma insegnare mi piace e oltre che per necessità materiale lo faccio anche perché è un’arte parallela per me a quella del romanzo, insomma, anche se sono stanca mi diverto. Il vizio della letteratura è pur sempre un vizio.

12. Credi nel talento? Credi in componenti irrazionali che portano a distinguere tra lo scrittore-artista e lo scrittore-professionista? La scrittura per te è più una forma d’arte o una tecnica? Se è una forma d’arte, che funzione può svolgere un maestro?

Il talento esiste e non è una questione di fede. Si tratta di una combinazione incalcolabile e irriproducibile di ferite, condizioni familiari, destino. La ghianda, come scrive meravigliosamente Hillmann. Il resto però è disciplina e allenamento. E arte e tecnica sono la stessa cosa: queste bipolarità crociane dove l’intuizione e la tecnica sono separate sono vecchie e false. Come dice McKee la struttura è il personaggio e il personaggio è la struttura. Così, il mio modo di vedere il mondo è il modo in cui riesco a esprimerlo. E il modo in cui mi esprimo è il mio modo di vedere il mondo. Un maestro, o una maestra nel mio caso, serve a fartene accorgere. Leggendo impari a scrivere, scrivendo impari a leggere. Si tratta di cerchi, non di polarità. Da insegnante ti sono accanto e ti faccio da specchio: quel che vedi nello specchio sono affari tuoi, però. Io ti indico e tu decidi se fare il viaggio e dove andare.

Resta comunque il fatto che per me l’arte accade quando noi diventiamo un canale aperto. Mediti, sei presente, senti e ricevi storie. Questo è alla portata di chiunque sia all’erta. Neutro e senza giudizio ma curioso, mai spaventato, sempre in attesa. Poi, però, quando l’immagine o la storia ti è arrivata, ti ha raggiunto, serve la tecnica. O resterà come un sogno dentro di te. Invece l’obiettivo è far sognare gli altri, lettrici e lettori.

Antonio Russo De Vivo © 2024

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *