La seconda intervista di #intervistesporche me l’ha concessa Lara Marrama.
Lara Marrama (il profilo instagram è qui) è strategist e social media manager (SMM), insegna comunicazione e social media in una scuola superiore di Milano.
La conosco come SMM della rivista culturale Snaporaz); nella stessa ha pubblicato un articolo dedicato al rapporto tra social media e critica letteraria (potete leggerlo qui). Particolare importante: ha un dottorato in critica letteraria.
Il format di intervistesporche prende il nome dalla mia passione per il punk e dalla mia volontà di interagire con alcune persone senza troppi filtri, in modo critico e politicamente scorretto. In questi anni in cui si vorrebbe ripulire tutto, dal linguaggio ai luoghi in cui viviamo (non odierò mai troppo il concetto di decoro urbano), è vivificante lasciare delle orme, dei segni, dis-ordinare, “sporcare” se necessario.
La prima intervista potete leggerla qui.
1. Da facebook a tik tok, passando per twitter e instagram, quale è stato il percorso del prodotto-libro sui social media? Quale di questi social secondo te rende più giustizia al valore culturale di questo oggetto di mercato?
Lo stesso percorso di ogni altro prodotto, ma con un po’ di spocchia in più; la storia del valore culturale dell’oggetto di mercato è, per me, una menzogna che continuiamo a raccontarci noi che crediamo che essere colti ci renda migliori degli altri.
2. Il tuo doppio sguardo – la dottoressa in lettere e la social media manager – non va mai in cortocircuito? Non trovi sia sminuente dal punto di vista intellettuale la rappresentazione dei libri sui social media?
No, nessun cortocircuito, sono due ambiti diversi che, almeno per quanto mi riguarda, non si autoescludono.
Non mi pare sia sminuente (non conosco nessun autore disperato all’idea che il suo libro compaia in un video di un bookinfluencer).
3. In questo articolo del 2020 (si può leggere qui), Massimiliano Parente avanza la tesi che la rappresentazione dei libri sui social sia una tendenza prevalentemente “femminile” e punti più sull’estetica “carina” che sui contenuti dei libri. Cosa ne pensi?
Penso che in quell’articolo (che però risale a 4 anni fa, eoni di distanza da quello che succede oggi) ci siano spunti interessanti sulla percezione del significato delle vanity metrics e sull’efficacia dell’estetica dominante di un social basato sulle immagini. Non credo abbia senso mettere a confronto il numero dei followers di uno scrittore e di una bookinfluencer che raccoglie titoli attorno a un tema specifico. I followers non sono un segno di valore, ma un dato tra altri dati.
Se è chiaro perché seguire una persona che dà consigli su un argomento specifico, resta poi da capire perché seguo Ellis (ma ovvio: per far vedere che seguo Ellis!), che attualmente su Instagram promuove il suo podcast e basta.
Sulla tendenza femminile e carina non so cosa dire, su Instagram i contenuti si facevano in un certo modo e ci siamo adeguati, perché quel social funzionava così (andiamo dietro alle mode? Certo che lo facciamo). Il principio dell’estetica dei post carini era lo stesso che ha riempito le nostre bacheche facebook di longform dal taglio arguto. Da fuori sembra una cringiata atroce, da dentro il modo che funziona meglio per comunicare con il nostro pubblico.
Mi propongo, però, come strategist per tirare su un profilo in cui si distruggano fisicamente i libri e li si rappresentino come oggetti orrendi: purché ci si ricordi cosa è successo quando Fedez e Chiara Ferragni si sono lanciati verdura in un supermercato e sono stati costretti a dire che avrebbero dato gli scarti in beneficenza (il video è qui).
4. Mi pare che con tik tok e l’“invasione” dei reel la comunicazione dei libri sui social ne abbia guadagnato molto: vedere le persone parlarne avvicina di più gli utenti al libro. Sembra l’approccio degli youtuber eppure è diverso perché la velocità dei nuovi media mi pare, per paradosso, favorisca l’interazione.
Ecco, da tecnica del settore, qual è la differenza tra uno youtuber che parla di libri e un booktoker?
Che gli youtuber avevano come modello format televisivi che favorivano approfondimento, durata e richiedevano un’expertise tecnica notevole, mentre i reel e i tiktok si realizzano usando strumenti tecnici spesso integrati direttamente in-app che rendono l’editing molto più semplice e sono costruiti piuttosto come spot: un gancio, un contenuto relatable, una call to action. Funzionano meglio per le interazioni perché le interazioni non richiedono uno sforzo di analisi, ma solo condivisione di un’opinione – spesso passata come unpopular opinion ma solitamente, invece, molto pop.
5. C’è questa cosa, sempre più diffusa in editoria, di chiedere agli scrittori di “attivarsi sui social” per il proprio libro. Ti sembra corretto? Uno scrittore, oggi, secondo te che rapporto deve avere con i social? Guardandoli, quale credi siano gli errori di comunicazione più diffusi?
Gli scrittori dovrebbero avere con i social lo stesso rapporto che si richiede alle persone normali: un rapporto sano, ecologico, sostenibile sul medio e lungo termine. L’unico errore enorme è credere che il proprio profilo sia la vetrina di una libreria che vende un solo libro: dopo tre post per me è spam.
6. C’è quest’altra cosa che sembra un qualcosa di irrisolvibile: l’incapacità, da parte della politica, di fare bene tutte quelle pubblicità progresso e iniziative a favore della lettura che dovrebbero avvicinare le persone ai libri e che invece hanno spesso l’effetto opposto. In cosa si sbaglia? Cosa si potrebbe fare di utile?
Non so, ma siamo sicuri che vogliamo avvicinare le persone alla lettura e non a un certo tipo di letteratura (una letteratura migliore delle altre)?
7. Passiamo alle parole. Circa la comunicazione sui libri, quale parola usata o abusata per te è mostruosa? Già che ci siamo: qual è il modo di comunicare i libri che tu proprio detesti?
C’è un format che trovo postironico: i trailer dei libri in cui i libri vengono presentati come film americani apocalittici. Sono il mio guilty pleasure.
Poi le parole abusate sono sempre le stesse, certe mode non passano mai: “rivelazione”, “necessario”, “coraggioso” usate più o meno per tutto quello che esce, compresi i libri di ricette di masterchef (parole che ovviamente ho usato anche io).
8. Con il consueto inconcepibile ritardo, l’editoria si sta spostando in massa su tik tok. Non mi pare che scrittori e addetti ai lavori, però, se la stiano cavando bene. Intanto Rizzoli ha affidato una collana alla booktoker Megi Bulla. In tutto questo vedo solo esigenze di mercato, di vendere qualcosa, di vendersi.
Al di là del solito discorso sull’editoria come business, uno scrittore di talento del tutto incapace di essere presente sui social cosa dovrebbe fare? Non pensi ci sia il rischio che l’attenzione del lettore/compratore si sposti troppo sull’autore (com’è fatto, come comunica, ecc.)?
Uno scrittore dovrebbe… scrivere? Il problema della visibilità dell’autore è un falso problema, o almeno non è un problema che riguarda lo scrittore in persona – l’unica cosa che ha veramente senso è registrare un profilo con nome e cognome da poter taggare e per evitare che lo faccia qualcun altro al posto dello scrittore.
Non mi pare che i social in questo momento stiano favorendo autori (anzi, piuttosto il contrario), eccezion fatta per la nicchia dei divulgatori.
Sulla collana di Rizzoli: una collana di fantasy e romantasy affidata a una persona che conosce praticamente tutto ciò che viene pubblicato in quel settore italiano e internazionale e che è il primo profilo di riferimento anche per chi legge quei generi??? Mio Dio, dove andremo a finire? 🙂
9. Ma ti sembra normale che la scuola, al cospetto di studenti-con-smartphone, debba ancora dedicare tanto spazio a libri tanto distanti dall’immaginario contemporaneo come I promessi sposi? Possiamo dirlo che oggi questi studenti a scuola non possono non odiare la letteratura di Manzoni, Carducci, Pascoli e simili? La scuola, secondo te, potrebbe trarre profitto da un uso ben organizzato dei nuovi media?
A scuola insegno social media e comunicazione e per l’Accademia mi occupo esclusivamente di letteratura italiana contemporanea. Non ho le competenze né la lucidità per dare un giudizio su un intero sistema, farei riferimento alla mia personale esperienza di studentessa e questo sì che sarebbe sminuente rispetto alla complessità dell’argomento.
Ma sono anche un animale con un Iphone e so che tutto quello che metterò online verrà screenshottato da qualcuno e usato contro di me nel tribunale social dei giusti, quindi mi limiterò a cercare una citazione – la più relatable possibile – di uno di questi autori (diciamo Carducci) e ne farò un post instagram che farà sicuramente più like di altro.
La citazione che ho scelto (secondo risultato di Google, non a caso): “È pure un vil facchinaggio quello di dovere o volere andar d’accordo coi molti”.
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