William Burroughs, La scrittura creativa

C’è un testo sulla scrittura che è un oggetto totalmente altro rispetto ai consueti testi sulla scrittura: La scrittura creativa di William S. Burroughs (1914-1997).

Di seguito ne tratteremo per tematiche.

La scrittura creativa: il libro

La scrittura creativa di William Burroughs è un’antologia di otto saggi sulla scrittura in apparenza di dubbia utilità per chi fosse alla ricerca di indicazioni sul mestiere di scrivere. Sono saggi che ibridano biografia, letteratura, biopolitica e poetica, grondano illuminazioni eccentriche che solo una intelligenza rara e debordante come quella di Burroughs poteva liberare.

La parola è un virus

William Burroughs considera la «Parola» un virus, cioè «un organismo senza altra funzione interna che quella di replicare se stesso» (Dieci anni e un miliardo di dollari, p. 21). Questa teoria è chiarita altrove, in un’intervista condotta da Gregory Corso (1930-2001) e Allen Ginsberg (1926-1997), WSB Interview 1961 («Journal For The Protection of All People», 1961, tradotta da Monica Miotti per il numero 19 di «Millepiani», Mimesis, 2001). Burroughs afferma che la «Parola» è «il principale strumento di monopolio e controllo che ostacola l’espansione della coscienza» e «controlla le sensazioni percepite con la mente e le impressioni sensoriali di colui che le ospita». L’uomo, per giungere alla coscienza, «deve rifuggire le forme verbali».

Gérard-Georges Lamaire (1948), nell’introduzione a La scrittura creativa, sostiene che l’insegnamento di Burroughs mira proprio «all’inassumibile o all’inaccessibile della scrittura: il silenzio» (traduzione di Fabrizio Elefante).

La scrittura è magia

Delineate rapidamente le basi teoriche del testo, possiamo ora indugiare su alcune delle illuminazioni presenti.

La più inquietante è quella che vorrebbe la «scrittura» esercitare un potere magico. La parola scritta è un’immagine e la parola-immagine originariamente aveva uno scopo cerimoniale e magico. Ne L’ultimo potlach, Burroughs riporta un breve dialogo avuto con Jasper Johns (1930) durante una cena al Connaught Hotel di Londra. Lo scrittore chiese al pittore cosa fosse la pittura e il pittore rispose allo scrittore con un’altra domanda: “cos’è lo scrivere?” Burroughs non seppe, al momento, cosa ribattere, ma in seguito trovò la risposta: «lo scopo di scrivere è di farlo accadere» (p. 31).

Elogio del plagio

Un’altra illuminazione è l’invito al ‘plagio’. Burroughs disprezza il ‘feticcio dell’originalità’ che pure, insieme all’idea delle parole come proprietà, lo ha tenuto imbrigliato per anni. In un manifesto redatto con il pittore Brion Gysin (1916-1986), Les Voleurs, l’esortazione è netta: «rubate tutto quello che è in vista» (p. 83). Il concetto di furto è alla base della tecnica di scrittura che Burroughs usa e che ha elaborato proprio insieme a Gysin: il cut-up, tecnica di montaggio consistente nel tagliare brani di libri propri o altrui e risistemarli per trarne «parole nuove e significati alterati» (Appartiene ai cetrioli, p. 86).

Lezioni di scrittura creativa di Burroughs

Per quanto concerne la pratica della scrittura, in questa antologia abbiamo un Burroughs bizzarro e un Burroughs che riesce ad esprimere profonde e acute Verità.

Il Burroughs bizzarro è quello che chiede agli studenti dei suoi corsi di scrittura di passeggiare «con l’attenzione costantemente a fuoco su un solo aspetto delle situazioni e percezioni che incontrate» (Dieci anni e un miliardo di dollari, p. 25), o di camminare sui colori per notare come questi «cominciano a spiccare più nitidi di loro propria iniziativa» (p. 26).

Il Burroughs delle profonde e acute Verità emerge qua e là tra le pagine del libro. È il Burroughs che confessa di non aver voluto scrivere da bambino perché incapace di affrontare ciò che tocca a ogni scrittore: «tutto il brutto scrivere che dovrà fare prima di farne qualcosa di buono» (Kerouac, p. 54). È il Burroughs che enuncia una regola basilare per chi voglia scrivere un best seller: «non cercar mai di far sperimentare a un gran pubblico niente che lui non sopporti di dover comprendere. Non dovete spaventarli a morte, farli saltar giù dalle sedie, e soprattutto non dovete sbigottirli» (Il bello e il bestseller, p. 73). E tuttavia ammette quanto sia complesso e faticoso scriverne uno: lui stesso ci ha provato, non riuscendovi.

La scrittura sulla scrittura

Bizzarria e Verità sono i due poli fra i quali oscilla la “scrittura sulla scrittura” che esercita Burroughs in questi saggi, una scrittura che più volte sembra rasentare la schizofrenia e sempre ci invita ad abbandonare una visione banale e semplicistica del mestiere di scrivere, una visione ortodossa, reazionaria, irreggimentata negli angusti limiti della realtà che crediamo di percepire. Non che l’autore de Il pasto nudo detenga l’ultima parola su cosa e come si debba scrivere e ciò sarebbe contrario alle sue teorie sul linguaggio come controllo –, ma è sempre salutare esplorare altri mondi anche nel campo della scrittura, purché non ci si lasci soggiogare: il naufragio, con Burroughs, è un rischio da tenere in conto.

William Burroughs

La scrittura creativa

trad. it. di Giulio Saponaro

Sugarco, Gallarate (VA), 1994 (prima edizione, 1981)

pp. 127

© Antonio Russo De Vivo 2019

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