Il Principe e la Stella

E quello è Alex.
“Sono Alex, da Alessandro il Grande a sua volta da Achille piè veloce”.
“Ma come parli?” Glielo chiedevano tutti, finché un giorno non si presentò solo come Alex. Ma non era ancora quello il giorno. “Vai in porta, che sei grasso”.

Era l’estate del 2003, lui adolescente, sudato, a testa bassa rispetto al mondo tutto. Parlava e non lo capivano, forse non lo ascoltavano neanche. Alex parlava come le storie e i miti degli eroi umani e semidivini. Ma non guardava nessuno negli occhi. Il padre gli aveva raccontato sempre quelle storie da quando lui, Alex, aveva memoria, finché l’altro, il padre, ancora ne aveva.
“Vai, vai ancora” gli disse il nuovo amico.
E Alex andava, l’acqua su fino all’ombelico, e non capiva che c’era qualcosa sotto.
Poi gli mancò la terra, sentì appena le risate quando precipitò nel buco liquido del mondo.

“E chi sarebbe costui?”
“È il principe Alex, Signore. Da Alessandro Magno a sua volta da Achille piè veloce”.
Era un grosso tricheco dalla pelle bruna e dai baffi regali, con una corona di gusci di vongole e altri molluschi e uno scettro che era una pietra stretta e lunga a punta, nera come pece.
“Ma non lo vedi com’è?” Il re era ai limiti dell’indignazione.
“Signore, il principe Alex è di stirpe nobilissima e di avi eroici, come le ho anticipato. L’unico degno di sua figlia la principessa Stella”.
“Tu dici? Ma è così grasso…”
“Ma Signore, non è degno di Voi ciò che dite…”
“E lui evidentemente non è degno di mia figlia”.
Alex era seduto, ovvero era legato a una sedia di corallo, certamente per impedire che il mare lo riportasse a galla. Alzò la testa e per un attimo incrociò gli occhi della principessa Stella.
Stella era una stella marina, azzurra ma come il cielo del giorno, aveva capelli molto lunghi e lisci e uno sguardo lontanissimo. Lei abbassò il capo e l’azzurro del corpo si fece leggermente roseo.
“Mia figlia Stella merita un uomo aitante, forte, il migliore. Non certo questo… è grasso, orribilmente e inutilmente grasso!”
Alex ebbe un moto di ribellione che gli prese prima l’espressione del viso – una faccia come spremuta, tanto che gli occhi non si vedevano più –, e poi la voce, quando ebbe a dire “Mio padre ha detto che sono destinato a essere il più grande!”
Ma il re Tricheco, sempre più sprezzante, intimò al suo cavalier servente, un pesce rosso d’acqua dolce, di liberare quell’immeritevole principe.
Il pesce rosso: “Signore, questo principe ha ragione, il destino è destino…”
“Liberalo, ho detto!” urlò il re tricheco.
“No, padre, voi non lo conoscete” finalmente la principessa, piangendo. “Lui è l’unico che mi abbia riconosciuta davvero, vista, intimamente scoperta”.
“Ah, allora cambia tutto…” disse il re, prima di scagliare lo scettro, la pietra, sui legacci di alghe che tenevano Alex in quel nuovo mondo.
Alex prese a salire, dapprima lentamente poi più veloce, e sentì qualcosa di morbido attaccato al polpaccio. Erano le cinque punte porose della principessa Stella.
“Cosa vuoi? Cosa volete da me? Io vi capisco, io ti capisco ma non ti conosco”.
A un attimo dall’aria fuori, la principessa Stella si staccò, ma prima gli disse “io sì, ti conosco. Non posso seguirti, non prima di sette anni da ora”.
Alex non capì ma ormai era tardi, la palla gli arrivò forte in faccia e così lui era tornato al suo mondo. Con dolore, il sole che scottava, la testa che girava. Aveva avuto una polluzione.

Sette anni dopo, Alex era un altro. Era alto, magro, di bellezza ben celata dai modi esitanti. Camminava rapido a testa bassa per le strade del centro. Non che le persone non gli piacessero, le persone l’avevano semplicemente respinto. Successe che girando strada per la piazza principale, urtò una ragazza. Aveva i capelli lunghi e lisci, uno sguardo lontanissimo, vago, e sorrideva.
“Scusa” disse Alex.
“Ciao” disse la ragazza, “sei Alex?”
“Sì.”
“Alex da Alessandro il Grande a sua volta da Achille piè veloce?”
“Mm no”.
“Eppure cammini più veloce di come camminano gli altri”.
“Be’, solo perché scappo” si lasciò sfuggire Alex. La ragazza sorrideva e copriva il viso con una mano. Alex pensava avesse un viso che si confondeva col cielo diurno.
“Non sono la persona che stai cercando, scusa per prima eh”. E così Alex fuggì via.

Il giorno dopo, e quello dopo, e quelli successivi, a Alex sembrò di vedere quella ragazza ogni volta che alzava gli occhi dal cemento delle strade del centro. E così continuò a fuggire, il passo sempre più veloce degli altri.
Questo fino a quella sera dell’estate del 2010.

Ora va detto che Alex girava la città da solo e sempre bevendo una quantità di alcolici tali da rendergli il mondo sopportabile.
Una sera sedette su una scala di un palazzo a bere e anche a piangere. Perché piangesse un ragazzo giovane destinato alla grandezza non lo si può capire. Alex stesso non sapeva perché piangeva. Era forse perché tutto gli era straniero? Era forse perché lui era estraneo a tutti? Era forse perché era troppo strano per sentirsi in un qualche modo qualsiasi vicino a qualcuno di quel mondo? Quando la ragazza si sedette accanto a lui, Alex non se ne accorse e piangeva e beveva e diceva qualcosa su quanto si sentisse lontano e dicendolo sentì di faticare a tenersi seduto dritto e si lasciò andare.
“Sei tu, Alex” le diceva la ragazza carezzando i capelli del ragazzo che le pesava sulle gambe e le bagnava la pelle di pianto. La ragazza, al contatto di quel liquido, prendeva più colore ma Alex, semicosciente, non la vedeva.
“Dormi, Alex, dormi”.

Alex sognò il mondo inabissarsi, gli incendi, l’assenza di persone di alcun tipo, l’acqua dal basso alzarsi per inghiottire tutto, incluso lui, e poi quella ragazza che sorrideva provando a coprirsi il viso con una mano. Ebbe una polluzione.
“Ciao” gli disse lei, al risveglio.
Erano su un letto a due piazze dalle coperte blu. Alex si guardò intorno, c’erano ovunque conchiglie e cartoline di quella sola città di mare che era l’unica città vissuta da Alex in quegli anni.
“Sono sette anni di cartoline” gli disse lei, anticipando la sua domanda.
“Perché?” chiese lui.
“Non ricordi?”
“No.”
“Io sono la principessa Stella e tu sei il principe Alex da Alessandro Magno a sua volta da Achille piè veloce”.

Stella e Alex condivisero il letto di quella stanza per sette mesi. Sette mesi insieme. Alex viveva con Stella e sognava Stella e allora quei sette mesi furono più di sette mesi.
Poi lei disse che di più non poteva.
La pelle le si stava seccando, era la tristezza senza sfogo. Stella non piangeva e allora quel corpo non si nutriva. Pianse Alex, per lei, e toccò il suo stesso pianto con entrambe le mani e provò con quelle mani a bagnare il corpo nudo di Stella. Era un corpo che era il mare mosso ma non troppo con onde dolci, a curve piccole ma tracotanti.
“È tardi, Alex, dovevi farlo prima. Ora lasciami sola”.
Alex la fissò e non era affatto dolce e triste ma invece arrabbiato. Si alzò dal letto. Se ne andò senza voltarsi indietro.
Il giorno dopo, Alex tornò: la stanza era vuota, le conchiglie sgretolate o polverizzate, le cartoline sbiadite, il letto era solo un grande materasso bianco.
Alex si disse che quello era il suo destino: restare meritoriamente solo.

Per cinque mesi sognò Stella. Ogni notte di quei cinque mesi ebbe una polluzione.

L’estate del 2011 Alex decise di andare a mare. Non ci andava da anni.
Percorse la spiaggia a testa alta senza vedere nessuno di quella folla.
Entrato a mare, andò sempre avanti. L’acqua lo faceva muovere lentamente, e lui non faceva che piangere e piangere, piangeva tanto, evidentemente sperava di bagnare Stella, lì in quel mare.
L’acqua intanto dall’ombelico passò al petto, poi al collo e poi alle labbra. Nessuno si accorse che Alex sparì.

Alex, in fondo al mare, poteva vedere e vivere come se si trovasse nel suo mondo. Era quello il destino? Pareva di sì.
Una stella a cinque punte, azzurra, poi rosea, gli si attaccò al petto e alle labbra. Le lacrime di Alex addirittura la resero rossa, e Stella rideva e era felice.
Alex, da Alessandro il Grande a sua volta da Achille piè veloce, il principe Alex, il semidio, spirò felice perché non era e non sarebbe stato mai più solo. Era quello il suo destino.

Antonio Russo De Vivo © 2024

* l’immagine è un frame di Bubble (Giappone, 2022).

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