Ipertesto fantastico Borges

Scrivere di Jorge Luis Borges (1899-1986) è operazione complessa, al contempo, di esegesi e di esplorazione. Si tratta di interpretare un’opera che ha qualcosa di babelico, e di procedere in un labirinto aperto a tutti – perché Borges, va sempre ricordato, scriveva per tutti – e in cui ci si può fermare più volte a godere dell’intrico – come se perdersi, in questo caso, fosse lo splendente fine tra i tanti possibili fini di un viaggio fecondo per iniziati e non. Borges è e non è per tutti: non si rivela ai “colti” se non attraverso un gioco di specchi; tende il bastone da cieco a tutti come si può tendere un feticcio.

Borges è un mito che si è mostrato attraverso una molteplicità di interviste e di brani autobiografici. Si è fatto aedo di sé, ha curato la sua memoria con un’attenzione simile a quella dei divi contemporanei.

Nel mezzo della sterminata mole di documentazione che lo riguarda, c’è Il fattore Borges (2004) dello scrittore argentino Alan Pauls (1959).

Il fattore Borges: “ipertesto fantastico Borges”

Il fattore Borges è una biografia dell’uomo e una mappa dell’opera.

L’uomo è inafferrabile quanto la sua opera, eppure il libro di Pauls, pur generato nella necessità e accettazione del fallimento*, non adempie il fallimento prevedibile. Il motivo è questo: chi si è perso nel labirinto di Borges con la speranza di non trovare la via d’uscita può dire o scrivere qualsiasi cosa di Borges, vera e/o falsa, con sicuro successo. Dicesi compartecipazione attiva all’“ipertesto fantastico Borges” e alla virtualizzazione del labirinto di Borges.

Levy: ipertestualizzazione e virtualizzazione

Circa le parole chiave ipertesto e virtuale mi rifaccio al sociologo Pierre Levy (1956):

L’ipertestualizzazione è il movimento contrario della lettura, nel senso che produce, a partire da un testo iniziale, una riserva testuale e degli strumenti compositivi che consentiranno al navigatore di progettare infiniti altri testi.
(Il virtuale, 1995, traduzione di Maria Colò e Maddalena Di Sopra, Raffaello Cortina, 1997, p. 32.)

La virtualizzazione non è una derealizzazione (la trasformazione di una realtà in un insieme di possibili), ma un cambiamento di identità, uno spostamento del centro di gravità ontologico dell’oggetto in questione: anziché definirsi fondamentalmente attraverso la sua attualità (una “soluzione”), l’entità trova ora la propria consistenza essenziale in un campo problematico.
(ivi, p. 8.)

* Pauls e il fallimento annunciato + definizione del fattore Borges

Cercare in Jorge Luis Borges il fattore Borges, la proprietà specifica, l’impronta digitale, la molecola capace di far sì che Borges sia Borges e che, liberata attraverso la lettura, la traduzione, le molteplici forme di risonanza che da più di quarant’anni si affannano su di lui e sulla sua opera, rende a sua volta il mondo sempre più borgesiano: questo è stato lo scopo iniziale del libro. C’era la remota possibilità di non fallire?
(Pauls, Il fattore Borges, p. 6.)

Tre passi de Il fattore Borges che voglio ricordare

La lettura de Il fattore Borges di Pauls attiva un processo di iperstimolazione. L’oggetto del libro, Borges (scrittore+opera), insieme all’abilità retorica dell’autore, Pauls, stringono il lettore tra l’aneddotica e i concetti, tra il piacere della conoscenza/confidenza con l’oggetto e il piacere della speculazione intorno all’oggetto: Borges.

Tre passi, tra i tanti, voglio ricordare. Si parla di scrittura come duello, voce e Borges-icona pop.

Il duello

Il duello è, per Borges, il modello stesso del racconto: una situazione narrativa che declina in modo particolare il rapporto tra letteratura e vita. Perché la narrazione per Borges è esattamente questo: ciò che sospende la vita, ciò che sottrae alla vita. Una vita fuori dalla vita, un’altra vita nella vita. Ecco perché il duello in Borges è sempre un’estasi, anche – o soprattutto – quando il risultato è tragico. Questa sospensione del tempo e della vita è come una trance, un’allucinazione, e possiede la vertigine della festa.
(pp. 44-45.)

La voce

Si narra perché c’è una voce che si estingue; si narra – superstizione borgesiana – per salvare quella voce dall’estinzione, per conservarla, come se la scrittura fosse il blocco di ghiaccio capace di tenerla in stato di ibernazione, nell’attesa di una risurrezione futura…
(p. 64.)

Borges-icona pop

Soltanto ora, con ritardo, si incomincia a riconoscere che gran parte dell’opera di Borges fu originariamente scritta per la stampa (giornali, supplementi illustrati, riviste di attualità, pubblicazioni letterarie), in un contesto di fugacità, di norme e convenzioni socioculturali che avevano assai poco a che vedere con il limbo idilliaco chiamato «libro». Il Borges scrittore, il Borges colto e, per dirlo con la parola tanto sbandierata negli anni Settanta, «elitario», perfino il Borges «universalista», le cui sofisticate narrazioni speculative facevano il giro del mondo con stupefacente fluidità, come scese direttamente dal cielo dell’intelligenza, fu sostanzialmente qualcuno che passò un ragguardevole numero di anni scrivendo in redazioni tumultuose, con scadenze perentorie, lottando contro il tempo e a volte contro i suoi stessi capi, per denaro, e i cui articoli, spesso tacciati di ermetismo, condividevano la pagina con pubblicità di reggiseni o di pasta dentifricia, e con articoli di utilità pratica per le casalinghe.
(pp. 137-138)

Il libro

Alan Pauls

Il fattore Borges (2004)

Traduzione di Maria Nicola

Roma, Edizioni SUR, 2016

pp. 167

Antonio Russo De Vivo © 2020

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